martedì 13 settembre 2011

La scomparsa dei fatti: un caso modello

Beppe Grillo a molte persone non piace. Alcuni argomenti che circolano in rete, su molti versanti, mi trovano anche d'accordo. In questo caso, però, documentare l'assenza di informazione è molto più interessante che stare a discutere su chi ha fatto cosa.

Sabato scorso, 10 settembre, Grillo insieme a migliaia di persone hanno consegnato qualche chilo di cozze davanti al Parlamento a simboleggiare i politici attaccati ai loro privilegi. Su ogni cozza c'era il nome di un parlamentare.
L'evento è stato organizzato per ricordare che 4 anni fa 350mila persone firmarono (in occasione del primo V-day) per:
1- mandare a casa i politici condannati con sentenza definitiva;
2- ridurre a 2 mandati (10 anni) la carriera di un politico;
3- esprimere preferenza diretta del candidato alle elezioni. Su quest'ultimo punto, PD, IDV e Sel stanno recentemente chiedendo ai cittadini di firmare (un'altra volta).

Il COZZA DAY, per ben 24 su 27 testate giornalistiche online, non è mai esistito.
Giornali come il Manifesto, l'Unità, il Corriere ed addirittura l'Ansa hanno omesso che migliaia di persone stavano scaricando davanti al Parlamento sacchi di cozze.
L'evento è stato invece ripreso in diversi altri paesi, fra cui Austria, Brasile, USA, Paesi Bassi, Francia e Spagna (1, 2 e 3).

sabato 3 settembre 2011

L'armonia del mondo

L'esempio più conosciuto di scienziato che ha svelato come i diversi fili che legano la realtà fanno parte di un unico tessuto che la rappresenta per intero è Albert Einstein. La quasi totalità della sua opera consiste nell'aver trovato le relazioni esistenti fra fenomeni considerati indipendenti, fino a spendere (purtroppo invano) gli ultimi 30 anni della sua vita a cercare di dimostrare quella che lui chiamava la teoria del campo unificato. Ben prima di lui, però, la connessione fra il particolare e l'universale era stata intrapresa, con alterne fortune, da plotoni di filosofi greci (e probabilmente da molti altri ancora).
In questo passo tratto da Le Menzogne di Ulisse (di Piergiorgio Odifreddi, TEA, 2006) le relazioni fra musica e matematica proposte da Pitagora vengono splendidamente illustrate, giustificando appieno il titolo del capitolo da cui sono riprese, L'armonia del mondo.
“[...] Pitagora stava passeggiando per la città quando, udendo i suoni che venivano dalla bottega di un fabbro, si accorse che alcuni erano consonanti, cioè si accordavano bene insieme, e altri erano invece dissonanti, cioè non andavano d'accordo fra loro. La cosa era probabilmente già stata notata dall'orecchio rude dei lavoratori che battevano i martelli sulle incudini, ma non ancora dall'orecchio delicato di un filosofo, con tempo e voglia a disposizione per vederci chiaro.
Entrato nella bottega, Pitagora scoprì che i suoni diversi che andavano fra loro più d'accordo di tutti erano quelli prodotti da martelli che pesavano l'uno il doppio dell'altro, cioè con un rapporto fra i pesi di 2 a 1: in tal caso le note prodotte erano infatti le stesse, benché alla distanza di un'ottava (come fra un do e il do successivo). La cosa però non finiva qui. Anche se i martelli pesavano l'uno una volta e mezzo dell'altro, cioè se il rapporto dei pesi era di 3 a 2, i suoni erano consonanti, benché un po' meno di prima: questa volta le due note non erano più la stessa, ma differivano di una quinta (come un do e il sol successivo, o un fa e un do). E anche se il rapporto fra i pesi dei martelli era di 4 a 3, i suoni erano consonanti, benché ancora un po' meno di prima: essi differivano infatti per una quarta (come un do e il fa successivo, o un sol e un do).
Tornato a casa, Pitagora provò a vedere che cosa succedeva per i suoni prodotti non da uno strumento a percussione, come le incudini, ma da uno a corda, come la lira. E si accorse che le lunghezze delle corde si comportavano in maniera analoga ai pesi dei martelli: un rapporto di 2 a 1 produceva suoni differenti di un'ottava, un rapporto di 3 a 2 suoni differenti di una quinta, e un rapporto di 4 a 3 suoni differenti di una quarta.
A questo punto, poiché la cosa non poteva essere una combinazione, Pitagora capì di aver scoperto un misterioso legame tra fisica, musica e matematica: il fatto, cioè, che a rapporti fra grandezze fisiche come pesi e lunghezze, misurabili con rapporti matematici fra numeri interi, corrispondono rapporti armonici fra note musicali. In altre parole, la matematica funge da intermediaria in un rapporto amoroso tra la fisica e la musica, e più in generale fra la natura e l'uomo.
Quest'opera di intermediazione Pitagora la espresse nel credo che “tutto è numero razionale”: nella fede, cioè, che tutti i rapporti scientifici e artistici siano misurabili attraverso rapporti matematici. Sottintendendo poi il riferimento ai numeri, il credo diventava ancora più generale, riducendosi a “tutto è razionale”: esso esprimeva, questa volta, la fede che ciò che chiamiamo cosmo o mondo, lungi dall'essere sistema caotico e inconoscibile, sia invece un “ordine pulito”, come nei significati originari di kòsmos e mundum, e si possa dunque comprendere mediante la misura e la ragione. E se, in un caso come nell'altro, la cosa suona familiare, è perché lo è: si tratta nella fede e del credo sui quali ancora oggi si basa la scienza.
[…] Pitagora, parlando greco, chiamava lògos il rapporto […] (il libro tratta della storia della logica, ndJ). Poiché il lògos, nella sua triplice coincidenza di matematica, musica e natura, si era manifestato attraverso i numeri 1, 2, 3 e 4, Pitagora si lanciò immediatamente in una serie di speculazioni su di essi. Aritmeticamente, i quattro numeri sommavano a 10. Geometricamente, essi formavano una tetrachtýs, un “quartetto”, che si poteva disporre nella forma di un triangolo equilatero di lato quattro:
Sia il 10 che il tetrachtýs acquistarono dunque un sapore magico per la confraternita dei pitagorici, che il maestro dirigeva come un profeta o un semidio [...]. (Le dottrine del maestro, ndJ) riguardavano la struttura matematica della musica e del cosmo, e oggi ne conosciamo i princìpi attraverso la divulgazione fattane nel Timeo da Platone, che ci ha probabilmente anche aggiunto del suo.
L'idea, più o meno, era la seguente. Anzitutto, il mondo non è stato creato, ma solo ordinato da un Demiurgo. Egli è partito dalla logica, notando che di ogni cosa si possono dire tre cose: che esiste, che è uguale a se stessa, e che è diversa da tutto il resto. Ha poi mescolato i tre ingredienti astratti dell'esistenza, dell'uguaglianza e della disuguaglianza ai quattro elementi concreti: cioè terra, acqua, aria e fuoco, che oggi associamo rispettivamente agli stati solido, liquido e gassoso della materia, e all'energia (che sarebbe il fuoco, ndJ) che permette di trasmutare uno nell'altro (ad esempio, il ghiaccio in acqua, e l'acqua in vapore).
Per plasmare il materiale grezzo così ottenuto, il Demiurgo è poi passato alla musica: si trattava infatti di creare l'ordine attraverso l'armonia. Di mousiké, “arte protetta dalle Muse”, secondo Pitagora ce n'erano infatti tre tipi: quella strumentale propriamente detta, quella umana suonata dell'organismo, e quella mondana suonata dal cosmo. E la loro sostanziale coincidenza era responsabile, da un lato, dell'effetto emotivo prodotto, per letterale risonanza, dalla melodia sull'uomo; e, dall'altro lato, della possibilità di dedurre leggi matematiche dell'universo da quelle musicali.
Per trovare le leggi matematiche della musica, Pitagora notò anzitutto che la divisione musicale dell'ottava di una quarta (do-fa) e una quinta (fa-do), oppure in una quinta (do-sol) e una quarta (sol-do), corrisponde al fatto matematico che 2 è uguale al prodotto di 4/3 per 3/2, o viceversa (vedi i rapporti espressi prima, ndJ): sommare o sottrarre intervalli musicali corrisponde a moltiplicare o dividere i loro rapporti. E poiché la quarta si ottiene sottraendo una quinta da un'ottava, basta “scendere e salir per l'altrui scale” (citazione del canto 17esimo del Paradiso di Dante, ndJ) a passi di quinte e ottave, per generare rapporti corrispondenti a tutte le note: ad esempio, quello corrispondente a un tono si ottiene salendo di due quinte (9/4) e scendendo di un'ottava (1/2), e corrisponde a 9/8.
Per trovare le leggi matematiche dell'universo “basta” a questo punto credere, o fingere di credere, che esso sia una lira suonata da Apollo. D'altronde, lasciando da parte la Terra e le Stelle Fisse, i rimanenti pianeti conosciuti allora erano giusto sette: tanti, cioè, quante le note della scala musicale. Il loro ordine apparente, ossia quello nel quale essi appaiono a un osservatore terrestre, è:
Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno.
Procedendo per quinte, seconda la teoria pitagorica, essi vengono ridisposti nell'ordine:
Luna, Marte, Mercurio, Giove, Venere, Saturno, Sole
che è quello che ancora oggi usiamo per la successione dei giorni della settimana.
[…] Le idee pitagoriche si mantennero vive nei secoli […] nella cosmologia [...] almeno fino a Keplero e Newton. Il primo scrisse addirittura, nel 1619, un intero libro intitolato appunto L'armonia del mondo, nel quale rivisitò le leggi musicali dell'universo alla luce delle più recenti osservazioni astronomiche, e precisò che nella sinfonia celeste Mercurio canta da soprano, Marte da tenore, Saturno e Giove da bassi, e la Terra e Venere da alti. E nella terza delle famose tre leggi sul moto dei pianeti, ricompare miracolosamente il rapporto di quinta: perché il quadrato del periodo di rivoluzione di un pianeta attorno al Sole è proporzionale al cubo della sua distanza media da esso.
[…] Quanto a Newton, egli stesso considerò la sua scoperta più fondamentale, quella della legge di gravitazione universale, come una mera esplicitazione di ciò che era già implicito nelle leggi dell'armonia pitagorica. E […] sostenne, addirittura, che essa doveva già essere nota a Pitagora.
[…]
Dispiacque invece a Pitagora, naturalmente, una scoperta che mise in crisi tutto l'edificio che egli aveva costruito. Perché poco dopo aver promulgato il dogma della razionalità universale, egli si trovò di fronte a un duplice scisma provocato da due eresie: una, geometrica, relativa alla diagonale del quadrato; l'altra, musicale, relativa al semitono. […] entrambi i problemi […] si risolvono con radici di 2 […] che non è esprimibile mediante numeri razionali: ovvero, che è “irrazionale”, nel senso sia letterale che metaforico. […] Pitagora deve aver vissuto come un vero e proprio scacco il fatto che il fallimento del suo programma di riduzione aritmetica derivasse proprio dalla geometria. Dalla disciplina, cioè, nella quale aveva fatto i suoi studi […] e nella quale è ancor oggi legato al più famoso teorema […].
Ma lo scacco fu doppio perché […] la radice di 2 si intrufolò anche nella teoria musicale pitagorica. Volendo infatti dividere il tono pitagorico in due semitoni, bisogna estrarre la radice quadrata di 9/8, il che introduce appunto una radice di 2 a denominatore. Calcolando invece (per quinte) l'intervallo fra il mi e il fa, oppure fra il si e il do, che dovrebbe appunto corrispondere a un semitono, si ottiene una frazione (256/243) che è leggermente diversa. La differenza fra un tono e due “semitoni” si chiama comma pitagorico, ed è purtroppo percepibile da un orecchio sensibile.
Da qui derivano enormi problemi musicali. Ad esempio, per chi ha orecchi per intendere, il ciclo delle quinte (fa-do-sol-re-la-mi-si) non si chiude, e continua all'infinito a spirale: salendo con i diesis, e scendendo con i bemolle. Ciò significa che, anche volendo soltanto considerare note con un unico diesis o bemolle, bisognerebbe costruire pianoforti con 21 tasti per ciascuna ottava, invece che con 12, con tutti i problemi che questo comporterebbe all'esecutore.
La soluzione fu trovata da Aristosseno di Taranto nel quarto secolo prima dell'era Volgare (non ho idea a cosa si riferisca, ndJ) e ritrovata da Vincenzo Galilei nel 1581, ma non fu adottata che nel Settecento, dopo essere stata propagandata da Johann Sebastian Bach nel Clavicembalo ben temperato. Si tratta, sostanzialmente, di distribuire il comma pitagorico in modo da renderlo innocuo, accordando il pianoforte in maniera equabile: in modo, cioè, che tutti i semitoni siano esattamente uguali. Alla fine tutte le note risultano stonate, “in qualche parte più che altrove”, ma di quantità impercettibile se non a orecchi sensibilissimi.
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