venerdì 14 gennaio 2011

Il muro che non c'è


Ho sentito dire che molti uomini di scienza, nella Storia, si sono portati dietro un loro rimedio personale contro la stretta consecutio logica del loro lavoro: alcuni dipingevano, ma la maggior parte suonava. Ammetto che, all'alba del mio decennio 30-40 anni, questa scappatoia mi è di un rilevante interesse. Ma più che per ottenebrare la mente dalla realtà, la mia volontà sarebbe di sfruttare questa opportunità per librare la mente al di sopra del fango dei nostri giorni.

Soggetti come Borghezio verranno spazzati via dall'economia e ce ne dimenticheremo, diovolendo. L'Italia è davvero divisa Nord-Sud? Non è poi rilevante, basta vedere quanto costano i trasporti (un treno, l'autostrada) per capire quanto sia la rude moneta a tenerci a casa a coltivare il pregiudizio. Se una vacanza di 3 mesi in tutta la Cina costasse 50 euro, ogni preconcetto sugli "altri" scomparirebbe nel giro di 2 generazioni. Ma così non è, e più che Borghezio sono certe sue idee medioevali che, purtroppo, invece, rimarranno. Perchè in realtà, non appartengono a lui, lui è solo un apostolo di certa ignoranza. Come quel comune leghista che non finanzia più le corse podistiche perchè le vincevano i negri, come appunto se Tommie Smith ed il Black Power non fossero qualcosa di già vecchio 40 anni.

Ho pensato che il muro contro cui ci stiamo andando a schiantare è in realtà fasullo del tutto. Nel senso che l'idea che noi si stia andando in linea retta verso qualcosa, non ha alcun senso. Stiamo davvero andando verso qualcosa? Il moto della vita ha una direzione e va in avanti? Perchè solo in quest'ottica persone che tendono a portarci "indietro" possono essere un peso. Non è forse più giusto credere che non ci sia alcuna direzione? Il periodico ritornare di certi atavici pregiudizi, come l'immortalità di alcune melodie, o di altre opere artistiche, mi spinge a credere che se proprio una traccia c'è, al massimo è circolare.

Del caro amico che mi ha mandato questo link, ho sempre invidiato la naturale vena artistica, una porta aperta verso la bellezza, senza tempo, di quella parte buona delle opere umane. E, per fare anche di queste quattro parole un cerchio, è proprio con queste che, forse, certe menti avvilite dalla consecutio logica dei fatti, si sono salvate dal fango dei loro giorni. In questi inutili istanti prima dell'ennesima crisi economica pianificata, coltivare la bellezza è un grande atto di ribellione. E dato che la mail del mio amico concludeva con un preoccupazione anche per me corretta, cioè quanto ci saremo fatti male una volta sfracellati al suolo?, ché poi è questo che determina quanto ci metteremo a rimetterci in piedi, allora una volta di più è opportuno coltivare ciò che i greci riassumevano in "kalòs kai agathòs", ciò che è bello e buono.
Almeno il breve spazio della nostra vita dovrebbe giovarne... E come il Candido di Voltaire, o più prosaicamente come Jacopo Fo, dovremmo cercare sempre di essere positivi. Ché certamente con la cacca si fertilizza il campo e si coltiva il grano, si ricomincia il ciclo, ma se avanza qualcosa di commestibile subito magari si riparte prima...

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