lunedì 5 marzo 2012

Rinunciare a pensare

Qualunque sia il ritmo della nostra vita, quale che sia la destinazione, noi italiani affrontiamo la vita correndo. Molti di noi scappano dal presente ogni giorno. Questa spinta verso il domani non è dovuta solo ad una odiosa quotidianità da cui fuggire. Più in generale, il berlusconismo culturale ha consacrato la scomparsa del senso del tempo: del passato non c'è più memoria. Cose gravissime, successe solo poco tempo fa, non esistono più, non ce le ricordiamo neanche. Che dire di Mariarca Terracino? Chi di noi conosce davvero la sua storia?
E questo proprio quando il futuro sembra non arrivare mai (e ad oggi, forse neanche lo vorremmo): il presente sembra l'unico tempo possibile nel quale vivere. Una prigione della mente.
Questo approccio frettoloso alla percezione di noi stessi ed alla realtà è forse il promotore di un fattore davvero dilagante. Nei siti di contro-informazione, nei giornali portatori (a loro dire) di vere verità, nei discorsi di certi amici, si fa frequente, troppo frequente, un personaggio forse senza tempo. Quello che ha rinunciato a pensare.

Di fronte ad argomentazioni nuove per lui, che non si incastrano in nessuno degli schemi a lui familiari, tradisce al mondo la sua rinuncia con la frase: "Se alla fine di questo articolo questo giornalista non ci dice cosa fare, allora che stia zitto".
Ma non facciamo delle stupide categorie: tutti noi siamo diventati un po' questo personaggio. Quante volte ci siamo sentiti persi davanti alle argomentazioni drammatiche di certa gente dei media più o meno convenzionali? Quante volte lo abbiamo pensato di qualche amico "rompicoglioni"? "Per favore, non rompeteci le scatole suggerendo delle alternative, non teneteci sulle spine con i particolari: dateci la vostra versione". Questo approccio purtroppo lascia spazio solo ad una conclusione: mi piace/non mi piace.

Sappiamo tutti che, nella nostra società in crisi, i ruoli non esistono più: il vostro superiore è spesso esclusivamente uno più vecchio di voi che guadagna di più, al pari (se non in deficit) di competenze. Nel peggiore dei casi è un believer, un triste ipocrita che ci crede. Non dovrebbe stupire dunque che il giornalista, che dovrebbe solo dare le informazioni, sia diventato per alcuni un maitre à penser. E come si dice, i media sono i cani da guardia del potere: dunque, almeno fare un collage delle informazioni filtrate, manipolate in alcuni aggettivi cruciali, ci permetterebbe di usare l'intelletto, e creare una nostra versione. Non fosse altro perchè la capacità di intrepretare qualitativamente la realtà è data dal mettere in relazione i diversi fattori, più che dal mandare giù a memoria nozioni, tesi o teorie.

Eppure questa è una attività che non possiamo demandare: non si può fare di questo una professione! Rintanarsi nella mancanza di tempo è sufficientemente consolante. Dobbiamo arrivare, scappare, sopravvivere. Ah, se si potesse fare una banca dove risparmiare il tempo perduto! Le volte in cui ne avessimo bisogno, lo si potrebbe ritirare allo sportello, e pensare un po' a noi.

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